PARTE 02
YOGA CLASSICO
Quello oggi viene definito YOGA CLASSICO, sono gli yoga sutra, codificati in 196 aforismi scritti tra il 325 e il 425 d.C e attribuiti a Patanjali di cui si sa molto poco. Nell'arco di tempo che va dal IV al XI secolo diversi commentatori cercheranno di sviscerare le parole di Patanjali con lo scopo di offrire ulteriori interpretazioni. Le parole di Patanjali sullo yoga, dunque, agitarono le acque e furono oggetto di ulteriori interpretazioni. Decisiva è la figura di Vyasa vissuto tra il 455- 550 d.C., a cui viene attribuita quello che oggi viene definito il primo commento agli yoga sutra di cui siamo a conoscenza. Faranno poi riferimento ad esso, quasi tutti i principali commenti successivi a noi noti.
Ai nostri giorni, gli yoga sutra di Patanjali sono al centro di un fenomeno di portata mondiale che vede numerose scuole e tradizioni di yoga porre in quest'opera il loro fondamento e la loro principale fonte d'ispirazione. Tuttavia, l'opera di Patanjali, per quanto importantissima, non fu né la prima né l'unica, ma a causa di come è arrivata a noi, ha fatto sì che da fine Ottocento essi vengano descritti come il “testo classico”. Sono molti e autorevoli gli autori che, prima di Patanjali, hanno scritto e testimoniato a riguardo dello yoga e che sono tra gli anticipatori degli yoga sutra:
in epoche a lui precedenti ritroviamo, ad esempio, opere come Yogacarabhumi di Sangharaksa (tradotta anche in cinese già nel III secolo) e ancora più eloquente è lo Yogacarabhumi dell’erudita buddista Asanga, molto simile all'opera di Patanjali rispetto all'impiego del lessico, sia per i modi di organizzare le tematich. In Cina, la stessa, viene spesso indicata come l'opera del bodhisattva Maitreya. Oltre a quanto è stato citato, ci sono poi tantissimi altri scritti, trattati di filosofi eruditi, che, tra India, Cina e Giappone, menzionano lo yoga e il suo metodo.
YOGA
Il termine YOGA, infatti, approda anche in lingue assai diverse dal sanscrito, ossia arabo e persiano, moltiplicando così i livelli del suo significato. Esiste anche un'opera di carattere enciclopedico, giunta fino a noi, in persiano, il cui titolo è trattato sulla natura dello yoga. Proprio l'abbondanza di tali riferimenti antichi motiva il bisogno di chiarimenti sulle pratiche e gli obiettivi, la disciplina e il fine ultimo dello yoga. In questa direzione si muove l'autore di un testo molto noto, ossia la Shivasamhita, (raccolta di Shiva) opera in lingua sanscrita del XIII secolo d.C.: qui lo yoga viene indicato come un metodo attraverso il quale si può giungere alla realtà sublime del Brahaman, come rivelato dal dio Shiva, definito Signore dello Yoga.
Tra il 1500 e il 1700 si svilupperà anche un peculiare yoga islamico, e un esempio ne è un capitolo di un'opera in persiano che ci offre una delle più antiche testimonianze illustrate degli asana, compresi quelli che si eseguono non da seduti. Risulta dunque chiaro come il significato dello yoga fosse riferito a scenari differenti, colti in vari modi, e diversi a seconda dei diversi osservatori esterni. Dal X al XIV secolo vedono una notevole diffusione assemblee in cui si esercitano yoga assai diversi tra loro, così come diverse sono le finalità che si pongono i praticanti.
A proposito di chiarimenti e precisazioni circa il contesto dello yoga, serve far notare che in questi tempi al termine sanscrito vengono spesso aggiunti prefissi e/o affissi in modo da rimarcare le differenze fra correnti, maestri e tradizioni: esemplare il caso del RAJA YOGA, ai nostri giorni largamente usata per indicare lo yoga di Patanjali, ma che guadagna visibilità a partire da quanto detto da Svatmarama intorno al 1400 nella celebre scritto Hathayogapradipika.
Nel periodo compreso tra la tarda antichità e il medioevo, almeno fino ai suoi ultimi secoli, in occidente l'interesse per la spiritualità indiana non ebbe più modo di esprimersi, ma i grandi viaggi che segnano l'inizio dell’età moderna, non potevano non riaccenderlo. Così, anche in occidente, cominciano a comparire riferimenti ad asceti delle diverse fedi e appartenenze, e in pochi secoli lo yoga, frequentemente scambiato con le pratiche dei fachiri, si è radicato nella nostra cultura, pur con molti equivoci.
Tra la fine del 700 e gli inizi dell’800, agli albori del romanticismo, vi fu l'opportunità di aprirsi alle forme di spiritualità asiatiche grazie soprattutto alla comparsa di traduzioni dei testi più importanti, come quella latina di Schlegel della Bhagavadgita. In tal contesto, si manifesta anche il problema della traducibilità corretta dei concetti indiani nei linguaggi europei. Parallelamente invece, è notevole l’influenza che gli enti coloniali ebbero sulla vita sociale e sui costumi dell'India del tempo, anche a causa di una campagna di discredito e biasimo di figure come quelle dello yogin, tanto che la parola stessa iniziò ad essere sinonimo di vita ascetica ed errante.
Continua lunedì prossimo l'ultima parte di Yogic studies e testi Yoga
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